black and white bed linen

Anna: una nuova vita in Svizzera.

Mi chiamo Anna e vengo da Chuhuiv, una cittadina ucraina situata a una quarantina di chilometri da Kharkiv. Un luogo tranquillo, dove la vita scorreva semplice. Lì sono cresciuta, lì ho lasciato una parte di me.

Ricordo perfettamente il momento in cui ho saputo che era scoppiata la guerra. Era la mattina del 24 febbraio 2022. Mi sono svegliata intorno alle 5:30, ancora assonnata, pensando di avere tempo prima di iniziare la giornata. Ma qualcosa non andava: il telefono vibrava in continuazione. Era la mia amica, che allora viveva a Boryspil, vicino a Kyiv. Mi aveva scritto decine di messaggi, uno dopo l’altro, in tono allarmato. All’inizio pensavo stesse scherzando, come quando si fanno battute per sdrammatizzare. Ma poi ho sentito un’esplosione, cupa e vicina, che ha fatto tremare i vetri. In casa, mia sorella maggiore parlava al telefono con nostra nonna e piangeva. In quel momento, tutto è cambiato.

Ho preso il telefono tra le mani, ho aperto i messaggi: la mia amica mi scriveva che la guerra era iniziata, che stavano bombardando diverse città. Sono corsa da mia sorella, e lei mi ha detto che la nonna aveva sentito spari provenire da un campo militare non lontano. All’inizio ho provato ad autoconvincermi che fosse solo un’operazione isolata. Ho cercato di tornare a letto per calmarmi, ma poco dopo le esplosioni sono diventate più forti, più frequenti, più reali. Abbiamo acceso la televisione: le immagini parlavano da sole. Missili su Kyiv, su Kharkiv, su tutto il Paese. Era davvero cominciata.

Poco dopo, ci ha chiamate nostra zia. Ci ha detto che lo zio sarebbe venuto a prenderci per portarci al sicuro in un piccolo villaggio, Malynivka, a circa sette chilometri da casa nostra. Quando lo zio è arrivato, abbiamo dovuto aspettarlo a lungo: prima doveva prelevare dei contanti, e davanti alla banca c’era una fila immensa. Tutti cercavano di ritirare denaro, con il panico negli occhi, come se fosse l’ultima possibilità. Finalmente siamo riusciti a partire: lui era in macchina con un amico, e noi ci siamo strette sul sedile posteriore. Durante il viaggio sentivamo esplosioni, elicotteri e aerei che sorvolavano il cielo. Il rumore era assordante, il cuore batteva forte. Tutto sembrava irreale.

Ci siamo rifugiate a casa dei nonni, insieme alla zia e alle sue due figlie. Nostro padre non viveva con noi. Quando finalmente è riuscito a chiamarci, era disperato: non sapeva dove fossimo, temeva ci fosse accaduto qualcosa. In quei giorni il telefono era il nostro unico legame con il mondo.

Nel frattempo, nostra madre si trovava in Polonia, dove lavorava da qualche tempo. Io e mia sorella, adolescenti, abitavamo da sole a Chuhuiv. Lì, nei giorni più difficili, dormivamo vestite, con le scarpe vicino al letto e lo zaino pronto, pronte a correre in cantina al minimo rumore sospetto. Vivevamo in uno stato di allerta permanente. Pensavamo che tutto sarebbe durato qualche giorno. Ma quei giorni sono diventati settimane.

Dopo quasi un mese in quella casa, abbiamo deciso che non potevamo più restare. Era troppo rischioso. Così abbiamo raggiunto nostra madre in Polonia. L’abbraccio con lei, dopo tutto quello che avevamo vissuto, è stato uno dei momenti più intensi della mia vita. Abbiamo vissuto insieme lì per due settimane, poi abbiamo deciso di fare un passo in più: chiedere asilo in Svizzera. Era una scelta difficile, carica di incertezza, ma sentivamo che era l’unica via possibile per ricominciare.

All’inizio siamo state accolte in un centro d’emergenza con molte altre famiglie. Eravamo in tanti, ognuno con la propria storia, il proprio dolore. Avevamo portato anche il nostro gatto, e nella stessa stanza c’erano famiglie con altri animali, bambini piccoli, persone fragili. Il caos era continuo, ma anche lì abbiamo trovato solidarietà. Abbiamo imparato a condividere, ad adattarci.

Ora viviamo in Svizzera da tre anni. Siamo riuscite a ottenere una sistemazione più stabile: io, mia sorella e nostra madre viviamo insieme in un piccolo appartamento. Io e mia sorella studiamo tedesco e cerchiamo di integrarci il più possibile. Mamma lavora in una panetteria. Si alza molto presto ogni mattina, ma lo fa volentieri. Dice che le ricorda la sua infanzia, quando aiutava la nonna a preparare il pane nel forno a legna.

Il futuro? È ancora tutto da scrivere. Io spero di poter continuare gli studi, magari frequentare una scuola o un’università. Anche mia sorella ha questo desiderio. Abbiamo tanti sogni, ma anche la consapevolezza che niente sarà facile. Mia madre vuole restare a lavorare nella panetteria, per dare a noi una base solida.

I primi due anni non sono stati semplici. Avevamo il cuore in Ucraina. Ogni notizia da casa ci faceva male, e ogni giorno sentivamo crescere la nostalgia. Ma non potevamo tornare: Kharkiv era continuamente bombardata, Kupiansk – dove vivono i nostri nonni – era sotto occupazione. Loro stessi ci hanno sempre detto: “Non tornate, restate dove siete. Qui è troppo pericoloso.”

Da allora non siamo più rientrate in Ucraina. Mi manca la mia famiglia. Mi manca quella vita semplice. Durante la guerra, il 17 novembre 2022, è nata la mia cuginetta, Victoria. Ora ha quasi tre anni. Io non l’ho mai vista, se non in foto. Lei non sa nemmeno chi siamo. È una delle ferite che porto dentro.

Nonostante tutto, siamo vive. E stiamo costruendo una nuova vita. Ci sentiamo fortunate per quello che abbiamo trovato qui. Ma il pensiero dell’Ucraina non ci abbandona mai. Grazie per aver ascoltato la mia storia.