Bad Ragaz, un incantevole paese situato nel cuore della Svizzera orientale, si è distinto non solo per la sua bellezza naturale e per le sue terme rinomate, ma anche per l’accoglienza calorosa che riserva ai profughi ucraini. Soprattutto in questo periodo difficile, durante il quale molti ucraini sono stati costretti a lasciare le loro case a causa del conflitto, Bad Ragaz si è fatto portavoce di una solidarietà che supera i confini e le barriere culturali.
La bellezza del paesaggio circostante, con le sue montagne maestose e i verdi pascoli, offre un ambiente tranquillo e rassicurante per coloro che cercano rifugio. Le autorità locali, in collaborazione con organizzazioni non governative e comunità, hanno attuato una serie di iniziative per sostenere i profughi. Oltre ai servizi basilari, il paese ha organizzato programmi di integrazione che permettono ai profughi di imparare la lingua locale e di inserirsi nella comunità. Attraverso corsi di lingua e attività culturali, i profughi hanno l’opportunità di interagire con i residenti, scambiare esperienze e, infine, sentirsi parte di una nuova famiglia. Questa interazione non solo facilita il processo di adattamento, ma arricchisce anche la cultura locale, rendendo Bad Ragaz un esempio di multiculturalismo e accoglienza.
La risposta di Bad Ragaz all’emergenza dei profughi ucraini rappresenta non solo un atto di umanità, ma anche un modello di come una comunità può rispondere positivamente alle sfide globali. Attraverso la loro accoglienza e il loro impegno, i cittadini di Bad Ragaz stanno dimostrando che la compassione e il supporto reciproco possono fare la differenza nelle vite delle persone in difficoltà.
La storia emblematica di questo paese non è solo una testimonianza di aiuto, ma anche un’insegnamento prezioso sull'importanza di essere uniti in momenti di crisi. In un mondo che spesso sembra diviso, Bad Ragaz si erge come baluardo di speranza, dimostrando che l’accoglienza e la solidarietà possono trasformare le vite e costruire ponti tra le culture. Attraverso il calore e l’apertura del suo cuore, questo piccolo paese sta scrivendo una pagina importante della propria storia, che sarà ricordata per il suo spirito di accoglienza e per l’umanità dimostrata nei momenti di maggiore bisogno.


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Anita Rohner e Olena Kovalenko, il ponte tra l’Ucraina e la Svizzera. Le donne che mi hanno aperto la strada per raccontare le storie delle rifugiate ucraine a Bad Ragaz e che devo rungraziare. Già prima dello scoppio della guerra, Anita Rohner lavorava in Ucraina a stretto contatto con rappresentanti di organizzazioni pubbliche e con cittadini attivi della società civile. Il suo impegno era rivolto soprattutto a far conoscere e comprendere alla popolazione ucraina l’accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione Europea. In quegli anni, Anita costruì legami profondi con molte persone, e diversi ucraini divennero suoi amici. Tra questi anche Olena Kovalenko, conosciuta proprio in Ucraina durante le sue attività sul campo. Un rapporto nato nel contesto della collaborazione e cresciuto fino a diventare una vera amicizia, che oggi continua nonostante la distanza. Dopo l’invasione russa del febbraio 2022, Anita ha scelto di impegnarsi attivamente nell’aiuto umanitario, offrendo sostegno concreto soprattutto durante il primo anno di guerra a chi fuggiva dal conflitto. Oggi vive e lavora in Svizzera, nella cittadina di Bad Ragaz, dove continua a dedicarsi con passione al volontariato e all’accoglienza dei rifugiati ucraini. È stato proprio grazie ad Anita Rohner e alla sua amicizia con Olena Kovalenko – che attualmente vive ancora in Ucraina – che ho potuto entrare in contatto con un gruppo di donne ucraine accolte in Svizzera. Attraverso di loro, e con la mediazione attenta e umana di Anita e Olena, ho avuto l’opportunità di ascoltare e raccontare storie vissute, ferite ancora aperte e gesti di resilienza quotidiana. Anita mi ha msso in contatto e organizzato l'incontro con le rifugiate a Bad Ragaz, dove molte di queste donne hanno trovato rifugio e un ambiente accogliente. È stato lì che, grazie alla fiducia che ripongono in lei, sono emerse testimonianze autentiche e profonde. Le rifugiate l’accoglievano con affetto sincero, si confidavano con lei e ascoltavano con attenzione i suoi consigli. Era evidente che la sua presenza rappresentasse per loro un punto fermo, una figura familiare e rassicurante. Gli incontri sono avvenuti in un parco pubblico in un clima amichevole e sereno. A seguire, le storie di sei donne ucraine che, grazie a questa rete di solidarietà e ascolto, hanno trovato la forza di condividere le loro esperienze di fuga, perdita, adattamento e speranza.
Accogliere chi fugge: la Svizzera e i profughi ucraini








Anita e Olena