Dentro le nuvole di fumo: i volti del lavoro nello zucchero di canna

Nel cuore rurale del Punjab, tra campi coltivati a patate, si nasconde un’attività antica quanto il mondo: la produzione artigianale dello zucchero di canna. Non ho documentato la raccolta, ma ciò che accade subito dopo, in quelle piccole fornaci a cielo aperto dove la canna tagliata viene trasformata in dolcezza attraverso un processo lungo, logorante, fisicamente estenuante.

I lavoratori, quasi tutti provenienti da famiglie povere del Punjab, trascorrono ore e ore accanto a calderoni ribollenti, alimentando le fornaci con legna o scarti della canna stessa. Il fumo è costante, spesso insopportabile. Avvolge tutto: i corpi, le voci, persino il tempo. I gesti sono ripetuti ma non meccanici: bisogna tagliare, spremere, cuocere il succo grezzo finché non diventa una massa densa, da raffreddare e modellare. È un lavoro che non conosce tregua: la calura è intensa, le condizioni igieniche minime, le protezioni inesistenti.

La fatica è visibile ovunque: sulle mani callose, sui volti bagnati di sudore, negli sguardi stanchi ma concentrati. È una danza continua tra fuoco e zucchero, tra resistenza e necessità.

In molte altre parti del mondo, questa filiera comincia ancora prima, nei campi dove migliaia di lavoratori – spesso invisibili agli occhi del consumatore – sono sfruttati come schiavi moderni. Vivono in condizioni disumane, privi di diritti, costretti a tagliare canna da zucchero sotto il sole cocente per pochi spiccioli, o addirittura senza retribuzione. La loro esistenza si consuma tra debiti, ricatti e fatica.

Questo reportage non è che un frammento del ciclo produttivo, ma racconta molto: racconta la dignità di chi, pur nell’ombra, tiene in piedi un’intera industria. Racconta il costo umano di qualcosa che troppo spesso consideriamo scontato.
Le immagini sono una finestra aperta su questo mondo fumoso, bruciante e faticoso, dove il dolce ha un prezzo che non tutti conoscono.

Dentro la fornace